La nostra storia
Appena costituitasi, primo obiettivo dell’AIED è stato quello di ottenere l’abrogazione dell’articolo 553 del Codice Penale (assurdo retaggio della legislazione fascista), che vietava fino ad allora la propaganda e l’uso di qualsiasi mezzo contraccettivo, prevedendo un anno di reclusione per chi si fosse reso responsabile di simile “reato”.
Secondo obiettivo è stato quello di aprire nel 1955, a Roma, in via Rasella, il primo consultorio italiano di assistenza contraccettiva.
Dopo numerose battaglie, che hanno registrato anche processi penali a carico di alcuni suoi dirigenti, I’AIED otteneva il 10 marzo 1971 I’abrogazione da parte della Corte Costituzionale del citato art. 553, riconosciuto palesemente incostituzionale.
Tuttavia, malgrado tale pronunciamento, perdurava ugualmente in Italia il divieto di vendita nelle farmacie dei contraccettivi, in quanto il Ministero della Sanità continuava ad applicare alcune norme del “Regolamento per la registrazione dei farmaci” (Reg. n. 478 del 1927), che non consentiva “la registrazione di specialità medicinali e di presidi medico-chirurgici aventi indicazioni anticoncezionali”.
Per questo motivo, infatti, i contraccettivi venivano ancora registrati sotto “mentite spoglie”: la pillola come regolatore dei cicli mestruali, mentre gli spermicidi come antisettici per l’igiene intima della donna.
L’AIED intraprendeva così, nel giugno 1976, una solitaria azione di denuncia legale e politica nei confronti dell’allora Ministro della Sanità per inosservanza della legge 22 luglio 1975, n. 405, che aveva istituito in Italia i consultori familiari, i quali dovevano servire a fornire proprio assistenza contraccettiva e che – paradossalmente – non potevano farlo!
A seguito di quest’azione, il Ministero della Sanità, con decreto dell’ottobre 1976, provvedeva finalmente ad abrogare quelle norme.
Si apriva così definitivamente in Italia la strada per una effettiva pratica della contraccezione, e la possibilità di realizzare – attraverso di essa – i principi della maternità libera e responsabile.
Caduti gli ostacoli normativi, venivano subito lanciate in Italia intense campagne per pubblicizzare alcuni prodotti anticoncezionali, decantandone la loro totale sicurezza, anche quando questa risultava nei fatti assai scarsa.
A fare le spese di tale situazione erano naturalmente le donne (molte donne!), le quali erano costrette spesso ad abortire proprio per aver usato quei prodotti, garantiti come “contraccettivi sicuri”.
L’AIED non esitava allora a denunciare all’Autorità Giudiziaria (insieme con il Collettivo femminista “San Lorenzo” di Roma), nel febbraio 1979, i responsabili di alcune ditte. In particolare, delle ditte produttrici degli ovuli spermicidi “PATENTEX” e “HAPPY”, chiamando in causa anche il Ministero della Sanità.
Il processo di primo grado, tenutosi presso il Tribunale di Milano, si concludeva con la condanna a 4 mesi di reclusione dei dirigenti delle suddette ditte farmaceutiche, riconosciuti responsabili di “somministrazione di medicinali, compiuta in modo pericoloso per la salute pubblica”.
Dopo questa sentenza, il Ministero della Sanità apriva un’ampia inchiesta su tutti i presidi medici con dichiarate proprietà anticoncezionali (ovuli spermicidi, creme, candelette, ecc.), in vendita allora in Italia, e sul tipo di pubblicità con la quale venivano reclamizzati.
L’indagine portava al ritiro dal commercio di alcuni prodotti molto diffusi, ed alla sostanziale modifica della pubblicità di altri.